Le origini del paese sono molto antiche: diverse fonti attestano che il primo insediamento denominato Roccanera tra il 400 e il 600 si trovava sul monte Verrugoli, dove è stata eretta la prima chiesa dedicata a San Martino. 

Intorno al 1200 esistevano già insediamenti, posti più valle, che avevano dei quartieri definiti come Salecchio, Groppo e Balano e nella rocca di Coderone si trovava una torretta che venne poi ampliata e trasformata in castello per mezzo di un accordo con i genovesi intorno alla metà del XIII secolo. La popolazione era forse divisa in due parti: quella che rimase nel paese vero e proprio e quella che si trovava nella rocca di Coderone. Quando il castello di Coderone divenne l’abitazione signorile della famiglia Biassa, intorno al XV secolo, probabilmente l’abitato attorno al castello era già stato abbandonato in favore della posizione attuale. Ciò è dimostrato dalla caratata del 1643 dove altri quartieri erano già nati nei dintorni: Scoglio, Costa, Salecchio e Biassa che acquisirono poi la denominazione generale di Biassa. 

Un dato curioso riguarda il fatto che Biassa è famosa per il Canao dei Foestri (Canale dei Forestieri) nel quale venivano gettati i corpi delle persone forestiere che non avevano buone intenzioni ed erano quindi poco apprezzate dagli abitanti dell’epoca. 

Nel 1920 la stima della popolazione era di circa 1490, mentre oggi ne conta circa 320 (residenti fissi). Nonostante le ridotte dimensioni del paese, è ancora in uso il nome di più di 11 quartieri diversi tra cui gli antichissimi Salecchio (Sarecchio), Scoglio, Costa e Groppo. 

La Comunità biassea è stata fino alla metà del XX secolo in una morsa tra amore ed odio per la sua terra: nomadi tra i due versanti dello stesso monte, tra l’infernale fatica del lavoro agricolo e il paradisiaco paesaggio di Tramonti. Frutto di questa unione è stato la nascita di un vino particolarmente pregiato chiamato Sciacchetrà nei borghi marittimi delle Cinque Terre e conosciuto a Biassa con il nome di vino Renforsà (rinforzato) dove la reale differenza sta nell’appassimento dei grappoli dell’uva. Il territorio di Tramonti è rappresentato da varie località che prendono il nome di Fossola, Monesteroli, Schiara, Navone e Persico – confinante con Campiglia, nata come costola di Biassa. 

Nella parte interna del versante montano venivano coltivati i castagni, ancora oggi presenti, e ortaggi che richiedevano grandi quantità di acqua. 

Molte sono le polle d’acqua naturali che hanno permesso l’irrigazione dei campi e l’approvvigionamento idrico della popolazione. 



CASTELLO DI CODERONE

 

XIII secolo 

 

Coderone è il nome del colle sul quale venne costruito il castello. Il toponimo deriva forse dalla sua forma a “coda” che si stringe tra i due canali noti come Canale dei Foresti e Canale del Diavolo. La sua realizzazione pare risalire al 1251 in contemporanea alla costituzione del primo statuto di Biassa, anche se antiche leggende narrano che esistesse una costruzione ancora antecedente confermata da porzioni murarie collocate dall’età medievale a quella rinascimentale. Quel che è certo è che fu eretto per volere della Repubblica di Genova come tributo agli abitanti di Biassa per non aver tradito il giuramento di fedeltà. 

Viene menzionato inizialmente in un documento del 1273: fatto costruire dai genovesi per difendersi dalle incursioni dei pisani che si trovavano a Carpena. Per questo motivo parte degli abitanti si trasferirono sul colle come mezzadri-soldati a servizio della Repubblica.

A poca distanza dal castello sorgono i ruderi di un centro abitato e, più in basso, i resti della chiesa di Santa Maria Maddalena, di cui rimangono parti delle mura perimetrali e l’abside.

Prima di diventare fortificazione Coderone era una torre, motivo per cui i biassei lo chiamavano così. 

Nel XV secolo perse la sua importanza strategica e venne convertito in residenza signorile e occupato da una famiglia che divenne poi molto importante: i Biassa. Nel XVI secolo Baldassarre Biassa fece ampliare il castello, ma nel XVII secolo quando la famiglia si trasferì a La Spezia portando con sé parte dei dipendenti, venne definitivamente abbandonato per essere adibito anni dopo a cimitero.  Con l’editto napoleonico degli inizi dell’Ottocento che imponeva la tumulazione dei morti al di fuori dei centri abitati, i defunti di Biassa furono sepolti nel castello di Coderone, nell’attesa della costruzione dell’attuale cimitero. Per molti anni, il castello fu ricordato con il nome di Canpussàntu vèciu, per distinguerlo da quello successivamente costruito.

A La Spezia esiste ancora oggi una via intitolata ai Biassa e il palazzo dove vissero, 

oggi sede di una banca. 

Nonostante la mancanza di fonti attendibili, diverse leggende narrano che il castello fosse opera dei cavalieri templari. 

Altre parlano di misteriosi flussi di energia presenti nella rocca su cui è stato costruito, e che tuttora confluiscono all’interno di una cavità delle mura del castello. 

 

SAN MARTINO VECCHIO 

 

Non si ha una data certa della costruzione di questa chiesa ma quasi certamente è nata insieme o dopo alla comunità di Roccanera della quale si ha traccia della sua esistenza nei vari toponimi di origine longobarda( intorno al VI secolo) e l’intitolazione di antiche chiese.

Fu la prima chiesa della comunità,non solo di Roccanera ( Biassa) ma anche di Carpena(che ai tempi aveva solo il castello) e Riomaggiore (che non esisteva ancora ed era formato da conglomerati di case ancora oggi visitabili quali Montenero, Lemmen,  Cacinagora e Cerricò).

Poco lontano si trovava un’antica via di pellegrinaggio che si congiungeva con la Via Romea (la oggi conosciuta come via Francigena) e gli abitanti utilizzavano la scala Santa (oggi percorribile sul sentiero 530 c) per raggiungere S. Martino Vecchio.

Le tradizioni orali degli abitanti odierni raccontano che a causa del campanilismo tra le varie frazioni esistenti la chiesa era dotata di tre ingressi separati, uno per gli abitanti di Riomaggiore,uno per quelli di Carpena e uno per quelli di Biassa.

Quando nel 1273 venne costruita la chiesa di San Niccolò di Bari a Carpena, Biassa iniziò a perdere la sua importanza. Successivamente la chiesa di San Martino (oggi chiamata di San Martino Vecchio a causa dell’esistenza nel borgo di una nuova chiesa di San Martino) venne abbandonata.

 

Si evince che nel XIII secolo erano già presenti agglomerati situati più a valle rispetto all’antica chiesa. Di questo ne abbiamo prova con la costruzione nel 1248 della odierna chiesa intitolata all’epoca a San Giacomo – poi intitolata a San Martino quando la chiesa sul Monte Verrugoli perse completamente di importanza.

Gli abitanti del territorio di Riomaggiore avevano preso parte anch’essi alle funzioni religiose di San Martino Vecchio fino a che non fu costruita la loro chiesa di San Giovanni Battista nel 1340.

Della chiesa rimangono oggi i resti dell’abside realizzato con delle pietre squadrate ricavate dalle cave vicine,  di un elevato valore architettonico-artistico e di un particolare rosa e grigio.

Le opere presenti nell’antica cappella sono state trasferite nelle chiese vicinali: tra le più rilevanti si ricordano una scultura quattrocentesca raffigurante San Martino fanciullo e una antica e pesantissima serratura di circa 8 kg di una delle porte (oggi conservate nella chiesa San Martino Nuovo).

Proviene dalla chiesa di San Martino Vecchio anche una pala d’altare in marmo raffigurante il santo protettore della struttura insieme ai santi minori, trasportata successivamente a Riomaggiore.

In un sopralluogo del 1983 emerse che la vicinanza della chiesa alla strada aumentava il rischio di furti e crolli. Sarebbe stato quindi utile creare delle recinzioni per evitare che estranei potessero entrarvi e trafugarne le pietre, cosa che invece accadde. 



San Martino: figlio di un generale romano, nato a Sabaria (Ungheria) nel 317 d.C. Viene celebrato l’11 novembre, giorno dei suoi funerali nella città di Tours (Francia), di cui divenne vescovo nel 371. 

La leggenda narra che mentre usciva a cavallo dalla città francese di Amiens, dove si trovava poiché arruolato nell’esercito, Martino vide un povero mendicante che aveva freddo ed era mezzo nudo. Tagliò quindi il suo mantello a metà e gliene donò una parte. 

All’istante il sole divenne caldo: questo avvenimento è conosciuto con il nome di estate di San Martino, periodo di novembre in cui il clima è più mite e i contadini, solitamente, portavano a termine i lavori agricoli. 

San Martino era un militare romano non cristiano. La sua conversione al cristianesimo, secondo la leggenda, avvenne quando sognò Gesù che, vestito con il suo mantello, raccontava che il soldato Martino (da Marte: dio della guerra) lo aveva riparato dal freddo. 

Al suo risveglio trovò il mantello completamente integro. 





SAN MARTINO NUOVO

 

Questo edificio era in origine una cappella romanica – antecedente al 1150 – dedicata a San Giacomo e costruita in questa posizione probabilmente dopo la nascita di nuclei abitativi più a valle rispetto alla chiesa principale di San Martino Vecchio. Non è chiaro però in che periodo l’antica chiesa posta sul monte Verrugoli sia stata abbandonata dai fedeli, ma ciò che si conosce con certezza riguarda un documento del 1471 che rende noto quanto la chiesa di San Martino Nuovo fosse più importante della Pieve di Marinasco sebbene ne fosse dipendente. 

Ciò è dimostrato anche dalla caratata del 1612 dove la chiesa di San Martino Nuovo era la maggior proprietaria terriera, con beni che si estendevano per tutta la giurisdizione. La sua ricchezza era dimostrata inoltre dal fatto che non riscuoteva decime dalla popolazione ma si sosteneva con i propri possedimenti. Nel catasto del 1643 si evidenziano dei lasciti probabilmente per pagare i lavori di ristrutturazione ed ampliamento della parrocchia. 

Citata per la prima volta in un documento del 1248 come chiesa dipendente dalla Pieve di Marinasco, nel XV secolo fu ingrandita e la cappella di San Giacomo servì da abside mentre nella parte frontale fu aggiunto un corpo a due navate. Il massiccio campanile risale al XVI secolo. Nel 1849 venne aggiunta una terza navata. Nel 1932-35 la chiesa fu sottoposta a radicali restauri per far riemergere, per quanto possibile, le forme primitive: in quell’occasione fu dichiarata Monumento Nazionale. 

 

Descrizione:


Lo stile generale è romanico eccetto la facciata in stile rinascimentale. Il corpo principale della chiesa è costituito da una grande navata sostenuta da sei robuste colonne in pietra arenaria serena, un tempo ricoperte di calce, e da due navate più piccole di ornamento e sostegno, sei finestre di pura arenaria con vetrate a tratti colorate e il soffitto in legno di castagno. L’organo risale alla prima metà del 900 e vi si accede da una scala a forma di torretta. Di fianco alla scala si trova l’antico stemma di Biassa o del castello di Coderone con la dicitura: Nec vi, nec dolo ovvero Né con la forza, né con l’inganno. Sopra la porta principale della chiesa in arenaria, sul lato esterno, si trova una lunetta arricchita da un bassorilievo in marmo raffigurante San Martino a cavallo. Il campanile è in stile genovese.